RECENSIONE – Chiara Gambino: “Ninna nanna ninna oh questa mamma a chi la do”

In occasione della festa della mamma il libro verrà presentato il 12 maggio a Roma presso il giardino VIvi-Le Serre e il 20 maggio al Salone Internazionale del Libro di Torino

In occasione della festa della mamma nel mese di maggio il libro verrà presentato nelle seguenti date e città:

  • Venerdì 12 maggio h 17.00 Balduina’S e Balduina Cultura presenta “incontro con l’autrice” presso il giardino di Vivi – Le Serre in via Decio Filipponi, 1 – Roma. Moderano Antonella Blasi e Anna Montani. Sarà possibile riflettere insieme sull’essere mamma sorseggiando caffè e centrifughe. È prevista una quota di adesione di 10 euro.
  • Sabato 20 maggio h 18.00 Altrimedia Edizioni presenta l’autrice all’interno del Salone Internazionale del libro di Torino, moderano Sabina Natali, Psicologa e Psicoterapeuta e Manuela Appendino, Ingegnera, Presidente Ass. We Wom Engineers ETS. La presentazione si svolgerà presso il padiglione ovale W54 X53, Stand Consiglio Regionale della Basilicata.

LA RECENSIONE di Stefania Martani

Mamma. Una parola che si ripete tante volte nei 12 racconti ironici a sfondo psicologico, raccolti nel libro di Chiara GambinoNinna nanna ninna oh questa mamma a chi la do”, Altrimedia Edizioni.

Mamma, la prima parola che il bambino pronuncia all’alba della vita, ma anche l’ultima a essere sospirata quando, nell’illusione della morte, ci affidiamo al tutto. Il tutto, l’universo, lo Spirito, da cui veniamo e in cui ci fondiamo è madre. Mamma però etimologicamente è anche una sineddoche: mamma in latino vuol dire mammella, quindi la parte per il tutto, un tutto che converge sulla funzione nutritiva, vitale, che una donna sceglie di diventare per il suo bambino. E il resto? Tutto il resto che l’individuo è, che, se si realizza nella funzione materna, non può però esaurirsi solo in questa? Chi culla la donna che continua a esistere nella madre, chi si prende cura della bambina che ogni donna è ancora? Come conciliare, in una società dove la donna ha rivendicato e conquistato altri spazi oltre il perimetro soffocante di un solo ruolo, la pienezza dell’essere, del suo realizzarsi, e questa offerta infinita di sé che ogni madre avverte come destino amato ma che, come ogni amore, rischia di inghiottirci?

Le mamme hanno bisogno anche loro di essere cullate, ninnate, sorrette, supportate. La maternità, lo sapevano bene le famiglie allargate, chiede, esige, una rete di relazioni perché possa manifestarsi in modo sano. Ha bisogno anche di altri spazi, perché questo amore non assuma sfumature nevrotiche, non si mescoli a frustrazioni che inevitabilmente poi proiettiamo su chi ci sta vicino. Anche sul nostro bambino.

Tenere insieme tutto, stringere in un nodo la donna, la madre e la bambina è un miracolo di equilibrio che esige intelligenza, consapevolezza, e cuore. Compassione per l’altro e per se stesse. 

Chiara Gambino, psicoterapeuta e scrittrice, queste cose le sa. Perché è dalla sua esperienza di madre e di professionista, che ha tirato fuori un libro di racconti che ritraggono poliedricamente le sfaccettature dell’individuo donna, nelle sue mille funzioni. Un gioco di trasformismo dove si è sempre se stessi, una elaborazione continua di vissuti e di strategie. E crescita. Perché l’istinto si fa sentimento materno, e il sentimento nasce dalla persona nella sua interezza. E la vediamo, perché la scrittrice ha uno stile capace di ritrarre con tutti i cinque sensi, letteralmente la vediamo, mentre si cimenta, dalla mattina alla sera, per far entrare tutto in un tempo che afferra e aggioga, costringendolo a dilatarsi, tutto si incastri: vita professionale, momenti di relax, di meditazione, di seduzione, e, soprattutto, il suo essere madre, nell’intimo e nel mondo.

Ed eccola la mattina a cimentarsi con i figli che mugolano ancora assonnati intorno al tavolo, prevenendo e curando le mille cose a cui bisogna pensare prima di portarli a scuola. E dopo il pieno, dove le voci, le raccomandazioni, i gesti si affollano in un turbinio frenetico, il momento del vuoto. La casa silenziosa, tutta per sé, il rimpianto, la sottile malinconia della temporanea separazione, che Chiara ricompatta assaporando da sola un altro po’ di caffè. Non c’è scissione perché è in questi momenti di ritorno a se stessa che avviene la saldatura tra le varie facce e funzioni. Eccola mentre ritaglia, sempre lottando col tempo, la sua ora di passione, la danza, e si piazza in prima fila, consapevole che la danza è il vibrare del corpo nel qui e ora. È la vittoria sul tempo, che pare concedere la grazia di farsi eterno. E di riportarla alla bambina che volteggiava sulla punta dei piedi, sognando di diventare una grande ballerina.

Chiara Gambino

E ancora, la spesa sui tacchi alti, perché Chiara è bella e non si dimentica di sé, anche se dimentica che i supermercati sono luoghi ipnotici, incantatori, inducono all’oblio delle reali necessità del frigorifero. Così la donna sui tacchi spinge fuori una sorta di carro armato pieno di scatolette e pacchi e fatica sulla strada in pendio, affronta il primo ostacolo, poi il carrello pencola pericolosamente e tutto sta lì lì per franare. Altra piroetta, slancio della gamba en dehors a tener fermo lo sportello, arabesque per frenare il carrello, e la spesa è salva.

Tanti episodi, mescolati a riflessioni, conditi di umorismo birichino, ammiccante, una voce fresca, giovane, perché Chiara è giovane, non solo in senso cronologico, ma nel suo intimo, sempre in contatto col flusso della vita universale, sempre in grado di rielaborare e integrare le esperienze, anche dolorose. Perché essere madre è anche sofferenza. Indescrivibile, quando la nostra anima sanguina, e non riusciamo a tradurre che tipo di dolore sia questo sentirsi sdoppiati, l’anima dei nostri figli nella nostra, il loro dolore nel nostro, e si sanguina da due ferite. Come sa descriverlo bene, La scrittrice, nel saluto alla stazione, nella prima separazione dalla figlia ormai adolescente, quando la gola è stretta dal magone delle occasioni mancate o fallite di una relazione che in quell’età spesso si fa difficile. I ragazzi hanno bisogno di diventare individui e in modo esasperato strappano il tessuto che li teneva avvinti alle figure genitoriali. E si oppongono, resistono. Ma allo sferragliare del treno il cerchio degli sguardi si fonde di nuovo. Madre e figlia si riconoscono, e il dolore si riconcilia nel pianto liberatorio. Ma non si può parlare ancora del contenuto di questi racconti. Bisogna leggerli. Sentire la vita di cui sono intrisi, ascoltare il cuore che batte dentro le pagine e che si fa voce narrante, si rappresenta e ci rappresenta. E quindi esiste.