CALCIO – Maradona, il ricordo di Bruno Gentili

Sono passati solo venti giorni dalla morte di Diego Armando Maradona. Il mondo del pallone è ancora scosso da una perdita così importante. Maradona era il vero e proprio re del calcio, ha segnato un’epoca forse irripetibile ed era l’emblema del riscatto sociale e della redenzione dei deboli. Ne parliamo con Bruno Gentili, vice-direttore di Rai Sport, e tra i più affermati giornalisti sportivi. Già radiocronista nella storica trasmissione “Tutto il calcio minuto per minuto“, è stato il telecronista ufficiale, dal 2010 al 2012, delle partite della Nazionale Italiana. Ha seguito, per la Rai, tanti Mondiali di calcio oltre a diverse edizioni dei Giochi Olimpici. Ha conosciuto Maradona nel 1984, prima dell’arrivo a Napoli, e ha visto direttamente sul campo tutte le sue incredibili gesta al Mondiale del 1986. E’ un testimone oculare della grandezza calcistica del pibe de oro.

Bruno Gentili intervista Maradona dopo la finale Germania-Argentina al Mondiale italiano del 1990

Parlare di Maradona a poco meno di un mese dalla sua morte non è facile. Stentiamo tutti ancora a crederci. Hai avuto la fortuna di conoscerlo direttamente e di incontrarlo più volte. Qual è il ricordo che più ti è rimasto impresso? Cosa aveva più degli altri campioni della storia del calcio?

Secondo me Maradona appartiene all’Olimpo dei grandissimi, appartiene ad un calcio che ovviamente non c’è più, il calcio dei dribbling, il calcio dei funamboli, il calcio di strada con le porte fatte di stracci, un calcio libero da tutti i tatticismi e dalle alchimie che ci sono adesso, un calcio che dava libero sfogo alla fantasia. Oggi si gioca a calcio con il pallone all’indietro. Il calcio non ha più quegli strappi anarchici di una volta, con giocatori che rompono gli schemi ed accendono l’immaginazione. Maradona è stato l’interprete massimo di questo tipo di calcio.

Napoli per lui fu amore a prima vista, un amore contraccambiato da ogni tifoso partenopeo.  Che ricordi hai delle radiocronache del periodo napoletano?

Più che ricordare vorrei fare una constatazione che pochi fanno ed è legata in particolare a quei sette anni e a quei due scudetti. Maradona è riuscito a vincere i due scudetti nel giro di soli tre anni – e forse ne avrebbe vinto anche un altro per il discorso delle scommesse legate al Milan – con due Napoli completamente differenti l’uno dall’altro, con due allenatori diversi di concezioni differenti, Banchi e Bigon. Questo dimostra, secondo me, la straordinaria unicità di Maradona. Rispetto al Napoli del 1987 nel 1990 c’era solo Carnevale, Ferrara e De Napoli. Questo è pazzesco. Vuol dire che con quel Maradona qualunque squadra avrebbe vinto lo scudetto. In tutti e due i Napoli non c’erano fuoriclasse. Ricordo Ferrara come ottimo difensore, Careca sicuramente come centravanti. Nell’87 c’era soltanto Bagni come grande mediano e Giordano come compagno d’attacco di Carnevale. C’erano dei giocatori muscolari. Non vi erano grandissimi giocatori. Ricordo Fusi, Crippa. La grandezza di Maradona trascinava tutta la squadra.

Parliamo dei mondiali. Quello del 1986 resterà nella storia. Maradona ne fu un assoluto protagonista. Tu eri presente come inviato di Radio Rai. Raccontaci quell’esperienza.

Maradona l’ho conosciuto nel 1984, quando mi concesse un’intervista in esclusiva che fece il giro del mondo per annunciare il suo arrivo a Napoli. Io ero in ritiro in tournée con la nazionale di Bearzot. Maradona era con il Barcellona di Menotti per affrontare alcune amichevoli. Ricevetti una soffiata e andai nel New Jersey all’Hotel Sheraton dove alloggiava. Dopo un’ora di macchina arrivai lì e mi trovai Maradona che scendeva le scale con un paio di scarpe da riposo in una mano e con una busta di latte nell’altra. Lo fermai e feci questa grande esclusiva. Il tempo di montarla, tre, quattro ore e di mandarla in onda, e Napoli, che per la prima volta sentì la voce di Maradona, esplose in un tripudio pazzesco. Fu un grande colpo giornalistico. Poi ho avuto modo di approfondire la conoscenza di Maradona nei Mondiali del 1986 in Messico. L’Italia era stata eliminata dalla Francia. A quel punto mi misero a seguire le ultime quattro partite dell’Argentina contro l’Uruguay, l’Inghilterra, il Belgio e, in finale, la Germania. Fu la mia fortuna. Quell’esperienza mi regalò tante chicche, tante perle. Avevo la possibilità di stare in campo, di fare le interviste sul campo. Erano assolutamente altri tempi. Quando segnò all’Inghilterra io gli dissi “Diego, hai segnato una rete bellissima”. Lui mi risposte “No, soltanto Rachel Welch è bellissima!”. Poi in conferenza stampa parlò del primo gol, quella della mano de Dios. Mi rivelò anche un’altra cosa curiosa. Gli chiesi se c’era al mondo un giocatore più forte di lui. E lui mi fece un nome sorprendente, quello di Jorge Gonzales, un fuoriclasse salvadoregno che aveva giocato nel 1984 nel Barcellona di Menotti. Dopo avermelo detto sono andato a rivedere filmati di Gonzales. Era un giocatore portentoso, un fenomeno mai visto. Gonzales una volta fece trenta palleggi con un pacchetto di sigarette. Era un mattacchione, un estroverso. Oggi fa il tassista. Fu una storia molto divertente.

La “mano de Dios” e il gol del secolo contro l’Inghilterra. Vederli dal vivo e avere la possibilità di intervistare Maradona sarà stata un’esperienza indimenticabile.

Quel gol, il secondo, dopo quello segnato con la mano non ha bisogno di commenti. Io ero sul campo e lo apprezzai da una visuale quasi unica. Maradona, quando partì dalla sua metacampo, sembrava quasi che non toccasse terra, volava letteralmente sul campo, superò cinque avversari compreso il portiere Shilton. Un capolavoro che durò dieci, undici secondi. Coprì sessanta metri di campo come un fulmine con la palla attaccata ai piedi. Qualcosa di irripetibile. E’ stato il gol del secolo che lo ha reso immortale.

Il tuo ricordo di Diego al mondiale italiano del 1990. La sconfitta dell’Argentina in finale segnò la rottura dell’idillio con il nostro Paese. I fischi del pubblico all’inno nazionale e gli epiteti di risposta di Diego scavarono un solco profondo con l’Italia.

Quel giorno lo stadio Olimpico era tutto unito contro Maradona. Faceva un po’ impressione. C’era molta rabbia dopo l’eliminazione subita dall’Italia proprio contro l’Argentina. Venne fischiato l’inno argentino e soprattutto Maradona. Il telecronista argentino disse che Roma si era trasformata per un giorno nella capitale della Germania. Per Diego fu una ferita che non si riemarginò mai più, anche per come è finita la partita. L’arbitraggio venne contestato molto duramente da Maradona. Venne fischiato un rigore che non c’era per i tedeschi. Ovvero quello vincente segnato da Brehme. Mancava un rigore netto per l’Argentino. Ricordo, al termine della partita, un’immagine di Maradona piuttosto triste che piangeva, con Goigochea che lo abbracciava a coprire la scena per non far vedere al mondo le lacrime del loro campione.

Il mondiale americano del 1994 sarebbe dovuto essere l’appuntamento della riconsacrazione di Diego. Dopo il meraviglioso gol contro la Grecia, la positività ai controlli antidoping alla partita successiva segnò l’inizio del declino. Che ricordi hai?

Maradona arrivò a quel Mondiale in condizioni di forma piuttosto precarie. Aveva già 33 anni. Venne rimesso in sesto, quasi a nuovo, con un allenamento durissimo dal suo preparatore Signorini. Il suo esordio contro la Grecia, sostenuto da un grande Batistuta, fu abbastanza brillante. Diego segnò il terzo delle quattro reti dell’Argentina con uno splendido tiro all’incrocio. Poi ci fu quell’urlo disumano, lacerante, davanti alle telecamere con una faccia quasi trasfigurata che generò ovviamente qualche sospetto, soprattutto nella Fifa. Nella partita successiva contro la Nigeria Maradona fu superlativo. Alla fine del match venne condotto all’antidoping e venne trovato positivo e, di conseguenza, squalificato. Poi si seppe, qualche anno più tardi, che a tradirlo non fu la cocaina ma una miscela di integratori completamente sbagliati. Peccato perché, secondo me, quell’Argentina sarebbe sicuramente arrivata in finale con il Brasile e avrebbe sicuramente vinto.

Alla fine, chi era Maradona per te? E’ giusto ricordare le sue magie insieme alle sue più profonde ombre?

Maradona purtroppo da tempo non era più lui. Troppo provato dagli acciacchi e dai continui ricoveri in ospedale, troppe ferite in un corpo martoriato. Una caviglia scassata, anche una spalla, un ginocchio dolorante, sempre gonfio. L’operazione per la riduzione dello stomaco che l’aveva portato ad un dimagrimento eccessivo in un primo momento, un dimagrimento troppo brusco. Il problema di Maradona è che non si è mai voluto sottrarre al suo essere Diego Armando Maradona, non ha mai rinunciato a nulla. Ha voluto vivere su una dimensione che ormai non c’era più che apparteneva ai fasti e alle glorie del passato, quando certi abusi e vizi gli venivano concessi e anche perdonati. Aveva però un altro fisico per poter assorbire certi eccessi. E’ entrato in un tunnel lentamente e da lì poi non è più uscito.

Ci sarà mai un nuovo Maradona nel futuro?

Non credo proprio, è difficile trovarne una fotocopia. C’erano in Maradona tante contraddizioni. Come ha detto Falcao “era un Dio con il pallone, e un essere umano senza pallone”. Messi, per fare un paragone attuale, ha una squadra che gioca per lui. Maradona, questa è la differenza, giocava per la squadra, giocava anche per gli altri.

Fotogramma estratto dal documentario “Maradona di Kusturica“, 2008