LIBRI – Il Bacio, con Simonetta Caminiti l’amore che torna…nel 1999

La recensione del romanzo di Simonetta Caminiti "Il Bacio" (Words Edizioni, 2020)

C’erano una volta Diana e Khady. Forse ci sono ancora, e ce lo auguriamo. Ma “quella volta” era il 1999: anni che non si dimenticano. Roma e il mondo intero si stanno preparando al nuovo millennio e chi rischia di arrivarci impreparata è proprio la protagonista de Il Bacio (di Simonetta Caminiti, Words Edizioni): Diana Delmoro, anonima biondina con gli occhi di un celeste venato di piombo. O almeno così si sente lei; lei che nutre il culto della “Eleanor Rigby” dei Beatles e frequenta la parrocchia della Roma “chic” più per dare un senso alla sua vita che per ispirazione.

Completamente diversa è Khady, metà senegalese metà francese, adottata da bambina e che, ormai ventenne, in quella parrocchia come dappertutto, seduce perfino le mattonelle del pavimento. Ma cela nel cuore il segreto di una madre (biologica) uccisa in Senegal e chissà quali altri piccoli misteri della sua vita sociale.

A Montedibbacco, paesino immaginario del Sud in collina, vive una nonna materna paralitica e due volte vedova in una vera e propria reggia: qui, le due sorelle troveranno l’estate della svolta. L’amore che spegne tutti i rumori di sottofondo e porta alla luce la verità. Traumi d’infanzia sepolti dall’orgoglio e dal pudore, ombre e conflitti di una relazione piena d’affetto ma mai pienamente autentica, passioni che spogliano il cuore dall’armatura che Diana in particolare ha costruito con applicazione ossessiva per anni e anni. Filippo è il nome attorno al quale ruota tutto questo: inclusa la chiave del giardino segreto della famiglia di Diana.

Il romanzo di Simonetta Caminiti (nato come “Gli arpeggi delle mammole”) si tinge del rosa scuro dell’attuale copertina, dopo lungo percorso passato per una riduzione in graphic novel (Diana, 1999, La Ruota Edizioni 2019) e una pagina Facebook in cui la scrittrice e giornalista ha mantenuto il nome della prima edizione del romanzo: quegli “arpeggi” del chitarrista di cui è innamorata, simbolo di chi appoggia le dita alle corde più profonde della vita per la prima volta.

La scrittura è sapientemente affidata a un mondo di descrizioni, metafore, fusione dell’alto e del basso, e del flusso di memoria che tiene sempre alta l’attenzione con volontari sbalzi, sospensioni, uno stile che sembra congegnato ad hoc e che invece è probabilmente l’eco dei romanzi di formazione del Novecento cari alla Caminiti. Qualcosa di completamente diverso dalla narrativa “teen” attualmente in circolazione. Una storia dal retrogusto amaro, ma compiuta e quanto mai utile ai ragazzi del 2020 come a chi aveva la loro età nel 1999.