Immagine simbolo di oggi: “Il grande sacco”, Burri, 1952.
“Al bando gli artisti veri per far posto agli sgorbi, alle tele di sacco, ai buchi incorniciati e alle ferraglie”, così dicevano di Burri nel ‘59. La “Materia” (sacchi, plastiche, i cellotex, i cretti, il legno, e così via) è sicuramente la cifra artistica che contraddistingue l’opera di Burri. Questa materia assume però con lui come un significato originario, un peso specifico diverso. I materiali usati, non entrano infatti solo nei confini della tela, ma sono essi stessi l’opera, non vanno a “fingere” (Argan) il reale. Sono utilizzati per il loro effetto visivo, la loro valenza cromatica, di trama, esattamente come per secoli si è fatto con i colori. In quest’ottica le cuciture dei sacchi, le giunture tra i pezzi di legno, le crepe dei cretti, i “buchi” creati col fuoco nelle plastiche, sono sapientemente indotti per rispondere a una precisa volontà compositiva, prendono il posto del disegno. I sacchi in particolare, che costituiscono un nucleo centrale di sperimentazione artistica di Burri attorno agli anni ‘50, nel loro aspetto povero, logoro, narrano la storia di sforzi, di dolori, di ferite ricucite (Burri è stato medico in guerra e prigioniero in America). Sono il residuo materiale di azioni umane ora spente, hanno ancora come un’impronta del loro passato. Pur non volendo attribuire per forza un “soggetto” ad un arte che in realtà ha fatto di tutto per liberarsene, questi ricami materici di Burri sono, come ogni rammendo, un atto d’amore. Non eliminano, non nascondono, un buco ma sono un modo per andare avanti, per ricucire il tempo; sono un ponte verso una realtà nuova. Quali graffi nell’anima ci ha lasciato questo virus? Sapremo ricucirli?
“Quello che chiamiamo “io” è un vestito di Arlecchino fatto con tante identità e cucito (talora anche rabberciato) con i colori diversi delle nostre storie” F. Caramagna #stopcovid19⛔️?✋