Immagine simbolo di oggi: “Susanna e i vecchioni”, Artemisia Gentileschi, 1610.
ARTIMITIA GENTILESCHI F(ECIT)1610, si legge sul marmo, nell’ombra della gamba destra della donna. La scritta, a lungo ritenuta apocrifa è invece autentica (si è sempre sospettato a dire il vero l’intervento del padre Orazio Gentileschi, che voleva promuovere il talento della figlia). La pittrice datò e firmò orgogliosamente l’opera, perché voleva che si sapesse che l’aveva dipinto a soli 17 anni (era nata nel 1593). Nel tempo poi Artemisia ne fece almeno altre due versioni (rispettivamente nel 1622 e nel 1649) ma questa prima racchiude al suo massimo il talento e la passione di questa pittrice. La storia è tratta dall’Antico Testamento (libro di Daniele): la bellissima Susanna, moglie del ricco babilonese Ioachim, si accinge a bagnarsi nel giardino della sua casa, ma viene seguita e spiata da due anziani giudici, i “vecchioni”. I due, ossessionati dal desiderio, le intimano di concedersi, minacciando altrimenti di denunciarla come adultera. Susanna si rifiuta e viene condannata a morte. La donna nel dipinto è raffigurata nuda, salvo un drappo bianco sulla coscia sinistra. È priva di ogni ornamento: indifesa. Non si vedono indumenti, boccette di balsami, niente. L’espressione del suo viso rivela angoscia e impotenza. Susanna sa che non ha scampo, purtroppo comprende bene cosa l’aspetta; le spalle sono addossate alla vasca dove stava per immergersi: è senza via d’uscita. La composizione verticale, a piramide, dell’immagine accresce l’effetto di minaccia. In posizione dominante, i due uomini incombono su di lei. Il più anziano, col dito alle labbra, le impone il silenzio. L’altro, che non è propriamente un “vecchione”, come vorrebbe il racconto, tocca confidenzialmente la schiena del primo, e gli sussurra complice all’orecchio. Molti hanno visto in quest’uomo Agostino Tassi, e quindi un riferimento inevitabile alla vita privata di Artemisia, provata da un traumatico stupro subito ad opera proprio di quest’uomo. Al di là del pretesto voyeuristico, dello sguardo morboso che viola l’intimità della donna, Artemisia Incentra l’opera sul ricatto, l’ha trasforma in una scena di violenza psicologica. Oggi 2 giugno 2020, festa della Repubblica Italiana, non possiamo non leggere però in questo quadro anche la condizione del nostro paese, provato da anni di cattiva politica e dal lockdown imposto da questa pandemia. Quante scaramucce di partito, offendono e violano la dignità del nostro paese! Quanto è piccola e lontana dall’ideale di Spinelli e degli altri padri fondatori, l’Unione Europea di oggi, con i suoi timidi e contraddittori provvedimenti per affrontare questa crisi!
“Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!” Dante Alighieri
RUBRICA – Pillole d’arte #19
