Immagine simbolo di oggi: “Pittura 1946, seconda versione“, Bacon, 1971. Bacon spesso faceva delle “seconde versioni” delle sue opere come nel caso di questa tela (la tela del ‘46 è conservata al Moma di New York e pare che quando Bacon vide il quadro, anni dopo averlo dipinto, non contento della sfumatura rosa che aveva assunto il colore con il passare del tempo, chiese ai curatori del museo di poterlo rimaneggiare, ma questi ovviamente glielo impedirono). Descritta da alcuni critici come un “ incubo di macelleria”, l’opera mostra un’anonima figura (forse il primo ministro inglese Neville Chamberlain), seduta con le gambe accavallate, un sorriso sguaiato che le deforma il viso, e un ombrello aperto sotto la carcassa sanguinolenta di un vitello. Francis Bacon nei suoi dipinti spesso raffigura un ombrello, quasi a rappresentare simbolicamente il desiderio istintivo di difendersi da un possibile disastro, un tentativo infantile di proteggersi isolandosi dal resto del mondo, come demarcano con forza anche i cordoni attorno all’uomo. L’insensatezza della vita, la crudeltà, la morte, la tragedia dell’esistenza che lasciano l’umanità indifesa, come un animale al macello appunto, come la carcassa incombente sull’opera, sono un tema ricorrente nella poetica del pittore irlandese. Ciò che noi vediamo in una tela di Bacon, non è però semplicemente l’aspetto della figura, il modo in cui appare (un elemento che interessava poco all’artista) ma piuttosto ciò che “un corpo sente nella pelle, nelle ossa e nei muscoli mentre fa quello che fa, qualunque cosa sia”(Littell). In questa pandemia abbiamo riscoperto la nostra fragilità, la nostra paura della malattia, la mancanza di certezze ma anche, quasi comicamente, l’incapacità di certa classe dirigente. In quasi tutti i paesi i leader politici hanno creduto in maniera autoreferenziale di potersi difendersi autonomamente dal virus, di poter fare meglio degli altri… ma a che prezzo?
“Non sa nulla e pensa di sapere tutto. Ciò indica chiaramente una propensione per la carriera politica” George Bernard Shaw.
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