Immagine simbolo di oggi: “Gabrielle d’Estrées e sua sorella”, Scuola di Fontainebleau, 1595.
Il genere del ritratto nudo idealizzato o allegorico si era diffuso in Italia nel corso del Cinquecento (la Fornarina di Raffaello). Da qui ebbe origine la moda francese di rappresentare “alla maniera italiana” dame e gentildonne seminude, alla toeletta, e trasfigurarle in divinità, in ninfe: la cosiddetta “Scuola di Fontainebleau”, fucina del Rinascimento francese.
Il dipinto ritrae la bionda Gabrielle d’Estrées e sua sorella. Le due sorelle sono immerse in una sorta di vasca; una tenda rossa delimita la “stanza da bagno” come se fosse il proscenio di un teatro, glorificando come un episodio mitologico una scena quotidiana, intima. Gli sguardi intensi delle due donne sono su di noi e ci fanno loro complici, senza imbarazzo.
Ad attrarre l’attenzione è il “pizzicotto” sul capezzolo di Gabrielle, notoriamente l’amante del re Enrico IV (sposato alla sterile Margherita, che non riusciva a dare alla nazione un erede). Il gesto di toccare il seno, da parte della sorella, in realtà ha poco di erotico ma è piuttosto il simbolo di maternità, e allude al fatto che presto la giovane genererà l’erede al trono. Ad avvalorare ulteriormente questa lettura simbolica l’anello matrimoniale tra le dita di Gabrielle (che però sposa del re non sarà mai) e la donna, severamente vestita, assorta in un lavoro di cucito, che si intravede alle spalle delle due donne: la balia. Il seno come simbolo di femminilità e nutrimento, ma anche vicinanza, carità e punto di partenza dell’intera vita sessuale; il modello mai raggiunto di ogni successivo soddisfacimento sessuale, al quale la fantasia fa spesso ritorno in periodi di privazione (Freud).
Questo lockdown purtroppo ha anche fermato gli screening di prevenzione dei tumori femminili che sarà difficile recuperare nel breve periodo. Questo “vulnus” deve essere un’occasione per riflettere sulla necessità di potenziare le risorse per la prevenzione oncologica, anche in periodo di crisi.
“Donne non si nasce, lo si diventa” (Simone de Beauvoir)