Dopo qualche giorno torno ad analizzare i dati epidemiologici. Prima però devo fare una doverosa premessa. Ogni interpretazione di questi dati è resa difficoltosa da una serie di bias statistici difficilmente colmabili. In primis, il numero di tamponi giornalieri e i criteri con cui sono eseguiti variano continuamente di regione in regione (cfr. figura 1).

Inoltre il conteggio dei tamponi è spesso non sincrono con la data di comunicazione dei dati e nel computo totale dei tamponi eseguiti rientrano quelli eseguiti in serie a pazienti positivi nel corso della loro evoluzione clinica. Pertanto il numero di nuovi positivi può variare quotidianamente in funzione dei tamponi effettuati e di quelli comunicati in un dato giorno.
Partendo dalla difficoltà nell’interpretazione di questo parametro, solitamente considerato il cardine per comprendere l’andamento di un’epidemia, qualcuno ha proposto di vagliare altre voci come numero di ricoverati, di pazienti in terapia intensiva e di deceduti.
Tuttavia ritengo che anche questi parametri possano essere soggetti a dei bias statistici e contribuiscano poco nel giudicare nella maniera più puntuale possibile l’evoluzione dell’epidemia. Infatti, secondo i dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità, tra inizio dei sintomi ed evoluzione clinica peggiorativa sino a richiedere ricovero ospedaliero trascorrono in media 4-5 gg, tra inizio dei sintomi ed eventuale decesso in media 8-9 gg. Quindi questi parametri ci forniscono, a seconda della voce scelta, informazioni sull’evoluzione dell’epidemia con un ritardo temporale tra i 4 e i 9 gg rispetto al reale inizio dei sintomi. In figura 2 si può apprezzare come appunto il trend dei deceduti proceda di pari passo con quello dei contagiati ma differito di una settimana.

Inoltre il numero di ricoverati in terapia intensiva può essere, soprattutto in alcune regioni, influenzato dalla reale disponibilità di posti letto. In regioni in cui il sistema è vicino alla saturazione (cfr. figura 3) l’incremento giornaliero dei pazienti in terapia intensiva può essere falsamente ridotto per scarsa disponibilità.

Pertanto, in virtù di queste considerazioni ritengo che il dato più interessante da continuare a monitorare per comprendere l’andamento dell’epidemia resti quello dei nuovi contagiati. È necessaria però una doverosa accortezza, da qui la mia latenza in questi giorni. È più opportuno non giudicarlo quotidianamente ma per blocchi di 5-7 gg.
La buona notizia è che la curva ha iniziato a rallentare notevolmente la sua pendenza (cfr. figura 4). Non è più in fase esponenziale!

All’inizio di marzo, prima dell’introduzione delle misure restrittive, i nuovi casi tendevano a decuplicarsi ogni 7 giorni. Si è poi assistito ad un progressivo rallentamento della percentuale di incremento quotidiana ed oggi siamo ad una decuplicazione ogni 31 gg. Il plateau che precede il picco non è lontano. Segno che le misure restrittive intraprese iniziano a dare i frutti tanto attesi ma con una lentezza maggiore di quanto potesse essere previdibile. Qui entriamo nelle dolenti note, negli errori di strategia che stanno rendendo questo lockdown più prolungato del previsto. L’elenco è lungo e i numeri così grandi in alcune Regioni che non permettono per il momento una correzione della rotta. Si è perso molto, troppo tempo tra i primi segnali di allarme e l’adozione di determinate misure. La sottovalutazione del pericolo ha portato ad un colpevole ritardo nell’importazione di DPI, ventilatori ed è stata avviata ancora più tardivamente la loro produzione nazionale. Quei giorni di ritardo sono stati decisivi perché poi la diffusione su scala mondiale del virus ha reso ancora più difficoltoso il loro reperimento nei mercati internazionali. I risultati sono stati una carenza, almeno iniziale, di posti letto in terapia intensiva e DPI tutt’ora insufficienti e inadeguati per il personale sanitario. Quel conseguente 10% di contagiati tra il personale sanitario ha poi contribuito a generare con buona approssimazione almeno un altro 15-20% di nuovi casi tra congiunti, pazienti e loro visitatori. Gli ospedali e le RSA si sono così trasformati da luoghi di cura in straordinari super-diffusori dell’epidemia e il personale sanitario, risorsa così preziosa e insostituibile in questa fase dell’epidemia, è stato progressivamente decimato.
Un ulteriore errore è stato quello di non predisporre, quando i numeri lo consentivano, gli isolamenti domiciliari in caserme, palestre, hotel come fatto nei primi giorni con gli italiani rientrati da Wuhan, tenuti precauzionalmente alla Cecchignola. Questo avrebbe consentito una più accurata osservanza dell’isolamento, avrebbe evitato l’eventuale contagio di congiunti e avrebbe permesso un monitoraggio quotidiano più semplice e accurato per il personale sanitario che invece di dover vagare di domicilio in domicilio, avrebbe potuto osservare giornalmente i pazienti, eventualmente indirizzandoli a ricovero precoce al primo segnale di peggioramento clinico. Parametro ritenuto ormai fondamentale per il successo terapeutico.
Irrazionale è stato anche l’utilizzo dei tamponi. Con numeri così grandi in certe Regioni invertire la rotta è ormai impossibile perché il numero di tamponi giornaliero da eseguire non sarebbe concretamente realizzabile ma laddove, e mi riferisco al Centro-Sud, i numeri sono più contenuti è fondamentale adottare la proposta introdotta dal Prof. Crisanti a Vo’ Euganeo e poi in tutto il Veneto. È necessario per ogni nuovo contagiato avviare un’indagine epidemiologica procedendo con l’utilizzo di tamponi per individuare, spezzare e isolare precocemente ogni nuova catena di contagio. Si procede “a raggi concentrici, si fanno i tamponi via via alla famiglia che è l’intorno più piccolo, agli amici che è un cerchio un po’ più grande e poi al vicinato che è ancora più grande. Così si fa la sorveglianza.”
Questo metodo poi sarà fondamentale da mettere a punto, perché sarà quello da proseguire in tutte le regioni quando i numeri consentiranno di allentare le misure restrittive.

Tornando all’analisi epidemiologica, per il Centro-Sud i numeri sono in termini assoluti contenuti, soprattutto se confrontati con le regioni settentrionali. Come dissi tempo fa, ci siamo fermati un momento prima del baratro. Tuttavia l’incremento di nuovi casi quotidiani in percentuale è persino lievemente peggiorativo rispetto alle regioni settentrionali (cfr. figura 5).
Probabilmente questo dato si potrebbe spiegare con l’effetto dei rientri dal Nord Italia di metà marzo. A maggior ragione è dunque necessario, visto anche i numeri favorevoli in termini assoluti, non adagiarsi sugli allori e approntare le giuste misure sopraelencate per evitare che il rallentamento dell’epidemia sia più lento di quello auspicato.
Infine termino la mia analisi con un monito. Da un paio di giorni, sulla scorta dei primi dati favorevoli sul rallentamento dell’epidedemia, si inizia inopinatamente a parlare di allentamento delle misure restrittive. Vi prego non ripetiamo il tragico errore di Milanononsiferma! Non è ancora tempo! Ci serva da monito l’andamento dei deceduti a Denver durante l’epidemia di Spagnola del 1918 (FIGURA 6).

Le misure restrittive furono abolite quando il picco era stato superato e stava iniziando la prima fase discendente della curva. Il risultato fu un secondo picco ancora più alto del primo e un ulteriore prolungamento delle misure restrittive. Solo per dare un’idea, noi siamo ancora nella parte sinistra della curva prima del raggiungimento del picco. Non è tempo di allentare la presa! Comprendo le preoccupazioni per lavoro, economia, salute mentale ma c’è stata la ripresa economica dopo due guerre mondiali ci sarà anche dopo qualche mese di lockdown. Sacrificare ora la salute pubblica sull’altare della finanza, porterebbe alla compromissione di entrambe (cfr. figura 7).

* Fabrizio Presicce è Dirigente dell’Ospedale San Filippo Neri di Roma