TEATRO – Riccardo III: la tragedia della coscienza al Globe Theatre di Villa Borghese

Il teatro ha una funzione importante, tra le tante, che è quella di far vedere le situazioni da diverse prospettive, di mostrare più lati di una vicenda e di far riflettere a livello profondo. Questo chiaramente avviene se in teatro c’è una regia maestosa che incontra uno sceneggiatore geniale e degli attori degni di essere celebrati da ripetuti applausi, come è avvenuto per il Riccardo IIIdi W. Shakespeare, portato in scena da Marco Carniti.

È stata la scena stessa a parlare sin dall’inizio, ad accogliere l’intersecarsi di linee emotive che come in un arazzo, si sono annodate tra loro e hanno finito per ingarbugliarsi in un nodo impossibile da sciogliere. 

Molti dialoghi sono avvenuti all’interno del tappeto rosso, steso lungo tutto il palco, evocante il colore del sangue che è stato sparso a causa del folle progetto di Riccardo, che per bramosia di potere ha fatto strage della sua famiglia, pensando di ottenere con questa messa in atto il potere assoluto. Questo protagonista, personaggio talmente negativo da non sembrare umano, diviene il simbolo del paradosso di chi, per sentirsi vivo, genera morte intorno a sé e alla fine da questa viene fagocitato perché quando si è vittima del potere è questo che gestisce la persona rendendola schiava. La regia di Carniti ha enfatizzato ogni tratto della tragedia, portandola alla sua ennesima potenza, facendo parlare non solo i personaggi, ma anche i segni della scena che Anne Ubersfeldavrebbe descritto con grande arguzia perché quando un segno è così forte, smette di essere forma e contribuisce fortemente al contenuto. Cosi le lenzuola da cui si sono manifestate le voci della coscienza, il pezzo di ghiaccio distrutto, i colori purpurei di abiti e stoffe, hanno potuto raccontare il sottotesto di una pièce colma di spunti e soprattutto di un grande insegnamento e cioè che chi pensa di non aver coscienza, in realtà sta solo provando a sotterrarla, senza sapere che quando non ascoltata, questa esplode più vigorosa e tormenta l’animo fino a fargli desiderare la morte. 

Il regista ha trovato un modo geniale e supremo, come la tragedia che ha raccontato, per rendere questo concetto, attraverso una scena che, da sola, ha conferito eccellenza a tutta la rappresentazione, convogliata proprio lì, in quell’agapevisiva di voci che si sono intrecciate sotto un lenzuolo, che ha fatto da involucro dell’anima, quella tormentata di Riccardo, interpretato in maniera magistrale dal primo attore Maurizo Donadoni, il quale ha dato voce non solo al personaggio bestiale di questa tragedia, ma anche all’interiorità dell’uomo che di fronte a sé stesso non può fuggire, se non per un tempo limitato. 

Tutti gli attori hanno contribuito alla riuscita di un’impresa non facile, che richiede una grande capacità creativa per essere in grado di comunicare qualcosa che non sia già stato detto riguardo ad uno dei testi più celebri del teatro. Carniti, enfatizzando il brutale tormento di Riccardo, ha riferito attraverso questa opera, un messaggio consolatorio per chi oggi si sente vittima di ingiustizie da parte di coloro che, pur detenendo un potere (in qualsiasi ambito), la notte probabilmente fa i conti con quell’io recondito e nascosto sotto una coscienza non proprio pulita.

I ripetuti applausi sono stati la ricompensa di un pubblico appagato e grato a coloro che hanno consegnato la possibilità di rasserenarsi davanti a una delle paure più grandi degli uomini e cioè quella di vedersi superati da chi è così malvagio, da ingannare e calpestare gli altri. Il sorriso soddisfatto sul volto del bravissimo Tommaso Ramenghi, interprete di Sir Richmond, ha espresso la vittoria risolutiva del bene sul male, che è stata celebrata dai pochi rimasti illesi dalla furia funesta di chi li voleva morti. Una nuova unione e la consapevolezza di voler accogliere un futuro roseo hanno fatto dileguare fra le luci il rosso del tappeto, scomparso sotto la speranza evocata dall’atmosfera finale, catartica e liberatoria per un pubblico che ha vissuto il coinvolgimento potente di questa tragedia dall’inizio alla fine.