Tony Levin si è imposto all’attenzione del grande pubblico come poderoso bass & stick man della band di Peter Gabriel alla fine degli anni Settanta.
La fama di virtuoso strumentista si è poi diffusa con i King Crimson di Robert Fripp fin dal nuovo corso inaugurato con Discipline.
Tony è però molto di più che un cultore della pura tecnica strumentale e lo stesso Fripp lo ha definito uno dei più grandi e sensibili bassisti al mondo. Nella sua interminabile attività di session man, Levin ha fatto risuonare le note del proprio basso per artisti eccellenti come John Lennon, Paul Simon, James Taylor, Burt Bacharach, Laurie Anderson, Ravi Shankar, Joan Armatrading, Lou Reed, Ringo Starr, Pink Floyd, David Bowie, Chris Botti, Bill Bruford, Al Di Meola, solo per citarne pochi.
Importante anche la sua presenza nelle migliori produzioni italiane: da Ivano Fossati, Fiorella Mannoia, Anna Oxa, Claudio Baglioni, a Susanna Parigi, Veronica Lock e Vasco Rossi.
Tony Levin coltiva da molto tempo anche la passione per la fotografia e il disegno su immagine fotografica. Ha già pubblicato due libri e realizzato diversi lavori di artwork per copertine di dischi propri e dei King Crimson.
Il primo album solista di Tony risale al 1995, l’ottimo WORLD DIARY cui seguirà ben cinque anni dopo il più raffinato WATERS OF EDEN. Il successo arriva però con PIECES OF THE SUN nel quale spicca la splendida “Apollo” che riceve una nomination per un Grammy Award. L’ultimo lavoro di Tony, che intanto ha fondato un proprio gruppo – la Tony Levin Band, è il corposo DOUBLE ESPRESSO, un bellissimo album doppio dal vivo che ripropone il meglio delle sue composizioni assieme ad alcuni classici dei Genesis, dei King Crimson e perfino di “L’Abito della Sposa” di Ivano Fossati. Brani che abbiamo riascoltato nella splendida esibizione del 12 ottobre 2005 alla Stazione Birra di Morena (vicino a Roma), la prima volta della Tony Levin Band in Italia.

Accanto a Tony il nucleo storico della band di Peter Gabriel, ovvero Jerry Marotta ai tamburi, Larry Fast ai sintetizzatori: Poi l’ottimo Jesse Gress alla chitarra (già con Todd Rundgren) e l’ultimo arrivato Pete Levin, fratello di Tony e tastierista molto apprezzato in ambito jazzistico.
La serata è aperta da un fantastico stick/guitar player, Tom Griesgraber, che delizia il pubblico con melodie eteree e gioiose tratte dall’album WHISPER IN THE THUNDER, cui si unisce dopo qualche brano Jerry Marotta per riproporre il duo che ha già inciso l’ottimo WAKING THE DAY. Tra un brano e l’altro Marotta scherza con il pubblico, anche con un po’ di buon italiano, e poco dopo è la volta della TLB, che pervade le futuristiche strutture architettoniche della Stazione Birra con un divertente Barbershop Quartet (un coro a cappella che Tony ha portato anche nei concerti dei King Crimson) per poi passare alle note profonde e vibranti di “Pieces Of The Sun”. La band sprigiona un’intensità veramente impressionante fin dalle prime battute di “Sabre Dance”, un’efficace rivisitazione della celebre composizione di Khachaturian, brano che figurerà nel prossimo album di Levin assieme alla suggestiva “What Would Jimi Do”, espressamente ispirata al grande Hendrix con un infuocato assolo di Gress. È emozionante scorgere il lavoro di Mr. Synergy, Larry Fast, dietro un piccolo ma micidiale synth, affascinante vedere all’opera Tony, sia con il basso a cinque corde che con lo stick, che segna con note bassissime e profonde brani come “Dog One” o l’indimenticabile “Black Dog” dei Led Zeppelin, preceduta da un’insolita intro pianistica di Pete. Dei King Crimson vengono riproposte “Sleepless” e “Elephant Talk” e l’effetto è davvero convincente, tenuto conto dell’obiettiva difficoltà tecnica dei due brani. Poi è la volta della veloce “On The Air” (da Peter Gabriel II) e la più epica “Back In N.Y.C.” dei Genesis. Eccellente esibizione salutata dal numerosissimo pubblico con grande calore.
L’INTERVISTA
Tony, questa è la prima volta per la TLB in Europa, e soprattutto in Italia.
“Sì, e lo trovo davvero molto eccitante. Ho cercato per tanti anni di venire in tour in Italia senza riuscirvi. Lo abbiamo fatto per diversi anni negli States e in Canada. Così questo tour assume per me un significato speciale: essendo il primo, credo che poi sarà più facile tornare a suonare qui. L’Italia è uno dei nostri posti preferiti, e lo è anche per i componenti della mia band, che ricordano precedenti esperienze nel vostro Paese al seguito di Peter Gabriel e che sono molto conosciuti qui. Sono davvero contento che alla fine siamo riusciti a farcela”.
Ora c’è anche tuo fratello Pete nella band.
“Sì, un gran cambiamento che ci permette di fare cose nuove e mantenerne altre inalterate. L’idea mi è venuta mentre stavo incidendo il mio nuovo album, che non è ancora terminato. Ad un certo punto ho affiancato Pete a Larry Fast, che è un grande in assoluto e tira fuori suoni unici con la sua Synergy dal synth. Pete è molto efficace per i suoni molto groovy e bluesy con l’Hammond oppure per i deliziosi assoli di pianoforte, sono tessiture che adoperiamo con efficacia nella band. In più canta: e nel prossimo disco avrò bisogno di altri due cantanti. Ora siamo in quattro a cantare e possiamo espandere il nostro repertorio in tour”.
Tu hai suonato spesso con musicisti italiani, ad esempio Claudio Baglioni. Che impressione ne hai tratto?
“Claudio è un gran musicista e io amo la sua voce, è speciale. Da ragazzo ero appassionato di opera: la musica italiana ha le sue radici nella magia e nelle intonazioni così speciali della voce umana. Questo è qualcosa che ogni italiano comprende: nel resto del mondo noi lo impariamo. Così quando ascolto la voce di Claudio so che sto ascoltando la vera musica italiana: questo mi capita anche con alcuni cantanti napoletani”.
Sei stato uno dei primi a usare il Chapman Stick nel rock ai tempi del primo album di Peter Gabriel
“Forse sì. Nel senso che sono stato sicuramente il primo a suonarlo in un disco che molta gente avrebbe ascoltato. Poi sono stato anche il secondo, il terzo e il quarto, nel senso che lo adoperavo soltanto io in dischi che raggiungevano una certa popolarità. Vi erano altri che lo suonavano, anche molto bravi, ma nessuno li conosceva. In un certo senso sono il padre dello stick nel rock. Mi ha molto attratto per la possibilità di suonare note molto basse. Nello stick vi sono poi le normali corde per chitarra, ma io solitamente non le uso, suono la parte con i bassi. Dunque sono uno stick player a metà, mentre altri miei colleghi sono più completi e fanno cose straordinarie con lo stick!”
Cosa puoi dirmi delle Funk Fingers?
“Le Funk Fingers nascono dalla combinazione di una mia idea, un’intuizione di Peter Gabriel e del mio road guy che le ha costruite materialmente. È stato importante per me poter usare due bacchette da batteria attaccate alle mie dita, ho sperimentato diverse cose e mi sono divertito. Ad un certo punto ne ho messe in vendita un centinaio di esemplari a un prezzo molto economico sul mio sito (www.tonylevin.com) e sono anche andate via in breve tempo. Mi chiedo che uso ne abbia fatto chi le ha comprate! Non ho mai sentito di nessun musicista che le abbia adoperate, all’infuori di me”.
Hai un nuovo basso in questo momento?
“Io suono sempre un nuovo basso (ride). Ned Steinberg mi propone sempre nuovi modelli: suono molto il suo electric upright bass e il violoncello, specialmente con Peter Gabriel e con i King Crimson, con cui uso anche l’arco. Ad ogni modo suono strumenti anche molto normali, soprattutto bassi Music Man e anche il nuovo Bongo Bass nel mio nuovo album e che ha un suono molto particolare”.
Cosa suggeriresti a un giovane che vuole imparare il basso?
“Sembra strano, ma nonostante abbia studiato musica classica per tanti, tanti anni non sono mai diventato insegnante. Non ho idea di come un altro dovrebbe suonare. L’unico consiglio che posso dare è quello di mettersi alla prova in diverse situazioni per molti anni e cercare qualcosa di personale, di nuovo. Potranno esservi anche momenti molto scoraggianti, ma vanno accettati e non bisogna mollare mai”.