“L‘Aids è una guerra”. Non solo contro un virus invincibile, ma anche contro la fragilità umana e contro gli affari delle potenti industrie farmaceutiche. Di questo parla 120 battiti al minuto, un film duro, intenso, sconvolgente e appassionato. Non ci racconta la malattia o i progressi della ricerca, ma le persone malate che vivono, lottano, amano. E fanno parte di ACT- UP Paris, un movimento degli anni ’90 pronto a tutto pur di smuovere il muro di silenzio sull’Aids.
Il titolo fa riferimento alla musica pop di quegli anni, che accompagna le serate di Sean, Nathan, Sofie e degli altri attivisti. Poco presenti le donne in un film che punta a raccontare da vicino la storia di Sean e Nathan e a raccontare come si vive, ci si innamora, si lotta e si muore ai tempi dell’Aids.
Tutto nel film di Robin Campillo è esasperato e dilatato: il tempo dell’amore, del dolore e quello della morte, che alla fine chiude un cerchio amoroso intorno a chi resta. Colpa dell’intensità, della materia incandescente di cui tratta il film, in cui anche i minuti sono preziosi e nulla deve andare sprecato, come la cronaca di riunioni interminabili, nel racconto di una morte annunciata.
Un Film appassionato, militante, che ha il pregio di squarciare le ingenue riserve di chi pensa che l’Aids sia solo un problema per i gay, mentre le provocazioni di ACT-UP Paris servono proprio a mostrare che nessuno può chiudere gli occhi. E che c’è una guerra in corso, da combattere con forza e con grande rispetto per se stessi e per gli altri.