“La Storia la scrivono i vincitori”. Ha le idee chiare Gurinder Chadha, che apre con questa frase il film Il palazzo del viceré. La regista ci racconta, con passione, quella che è anche la storia della sua famiglia, che ha vissuto la divisione dell suo paese e i conflitti mai sopìti tra sik, indù e mussulmani. Nel 1947 l’indipendenza dell’India e la fine dell’Impero britannico coincidono, infatti, con un esodo di massa e con giochi di potere dagli esiti devastanti.
Ma il film non si limita a portare sul grande schermo lo sterminio che ha fatto seguito a una divisione già decisa. Esplora anche i sentimenti e un amore impossibile tra Aaila e Jet, divisi dalla religione e dalle ragioni di una guerra mai dichiarata.
Chadha, la regista di Sognando Beckam, ci regala ritratti indimenticabili di donne forti come la moglie del viceré e Aaila. Tutti i personaggi trovano posto in un grande palazzo che é il luogo simbolico dove si compie il dramma. La fotografia è molto curata e la regia struttura una narrazione corale, intensa, che ha la forza di un racconto in diretta.
È un invito a rileggere la Storia, dalla parte di chi l’ha vissuta e può testimoniare i danni dell’ oscura legge del divide et impera, che ancor oggi separa popoli e destini.
Straordinaria anche la figura dell ultimo viceré, il nipote della Regina Vittoria, Lord Mountbatten, che,con la moglie e la figlia, si trasferisce a Delhi. Cerca di fare al meglio il suo lavoro ma non sarà testimone della nascita di una nuova Nazione libera. Incapace di ascoltare gli insegnamenti di Gandhi e soggetta alle logiche perverse della Partition, l’India piange milioni di morti e vive un esodo di massa che coinvolge milioni di persone.
Il palazzo del viceré è un grande affresco, il dramma di una Nazione, ma anche un grido di dolore contro le guerre che insanguinano il nostro Pianeta.