Una scenografia minimalista, estremamente suggestiva e intima: cinque candelabri, ognuno con sette candele, su uno sfondo nero. Sulla sinistra del palco Brian Hughes con le sue chitarre elettriche e acustiche, l’oud e il bouzouki; al centro Loreena McKennitt, la regina della musica celtica con la sua arpa e il pianoforte a coda; a destra la bravissima violoncellista (ma non disdegna flauto e fisarmonica) e cantante inglese Caroline Lavelle.
La musica di Loreena che spazia tra il sound celtico eclettico, il pop, il folk e la world music ha conquistato critica e pubblico. L’artista ha venduto ben 14 milioni di album in tutto il mondo — dischi d’oro, di platino e multi-platino. La McKennitt è stata nominata due volte ai Grammy Awards, ha vinto due Juno e il premio alla carriera della Billboard International. Si è esibita nelle location più ambite, dalla Carnegie Hall al famoso Palazzo Ahambra di Granada in Spagna, fino alle performance per la Regina Elisabetta II.
“È difficile credere che siano passati cinque anni dall’ultima volta che siamo venuti in Europa, e per noi è un periodo davvero lungo”, esordisce Loreena di fronte al numerosissimo pubblico della sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica, gremita in ogni settore e con molti fan del club a lei dedicato arrivati anche dall’estero. Roma è la data centrale delle cinque tappe del tour italiano che ha toccato il 23 marzo Trieste, il 24 Padova, il 27 Firenze e infine il 28 Assago, già da diversi giorni sold out. “Abbiamo sempre amato le performance all’estero, soprattutto in primavera. Sono personalmente impaziente di condividere con il pubblico questa performance in trio e in particolare la sua intrinseca intimità. E, naturalmente, è sempre un piacere incontrare nuove persone e riconnettersi con quelle che abbiamo incontrato durante i precedenti tour”.
La scelta del trio ha una dimensione molto più intima rispetto alle precedenti esibizioni con la band al completo, e Loreena la rende ancor più personale con i suoi frequenti racconti tra una canzone e l’altra. La McKennitt narra dei suoi viaggi nelle regioni più remote del globo alla ricerca delle tradizioni celtiche, dalla Cina alla Mongolia, fino alla Turchia e all’Irlanda e la sua musica riflette a fondo le sue esperienze di viaggio. Note che accarezzano l’udito sulle quali spicca la sua splendida e inconfondibile voce soprano di coloratura, capace realmente di incantare l’audience. Quando poi in alcuni brani si aggiunge anche Caroline, l’effetto è davvero notevole.
Il repertorio è impreziosito dal connubio con la poesia mistica di Yeats, dall’opera di classici quali Shakespeare e Tennyson e che comprende il materiale tratto dal suo TROUBADOURS ON THE RHINE, che nel 2012 è valso all’artista la candidatura al Grammy.
Il concerto, suddiviso in due set da un intervallo di circa venti minuti, si apre con una gemma come Samain Nights (tratta da PARALLEL DREAMS del 1989 come pure Annachie Gordon). La maggior parte dei brani è tratta da THE VISIT del 1991 (All Souls’ Night, Between The Shadows, Bonny Portmore, The Old Ways) e molti altri successi scelti con cura da dischi come ELEMENTAL – l’album d’esordio del 1985 (Stolen Child e The Lark In The Clear Air) – THE MASK AND MIRROR (1994), THE BOOK OF SECRETS (1997) (Dante’s Prayers), THE WIND THAT SHAKES THE BARLEY (2010), riservati soprattutto al secondo set che ha fatto salire anche di enfasi e intensità una performance il cui unico punto debole può essere nella inevitabile ripetitività di alcune atmosfere e melodie.
Il trio, che in alcuni brani diventa un quartetto con l’aggiunta estemporanea di un ottimo violinista, conclude il concerto con i richiestissimi bis di The Mummers’ Dance e Full Circle.