C’e sempre qualcosa di lieve, di inquieto e di intollerabile nei film di Xavier Dolan. È solo la fine del mondo mette in scena l’incomunicabilità del sistema familiare, guardato con gli occhi di chi ne conosce bene i meccanismi perversi e disfunzionali.
Non troppo gradito dalla critica, ma Gran Prix al festival di Cannes 2016, è un film difficile, duro, sospeso, con un crescendo inarrestabile della tensione emotiva e narrativa. Il giovane e talentuoso regista riprende un testo di Jean Luc Lagarce degli anni ’90. Mette in scena la storia di un figlio che torna in famiglia dopo 12 anni, per rivelare che sta morendo. Ma nulla è cambiato nella situazione affettiva ed emotiva che Louis incontra, seguendo“quelle oscure leggi interne che ci impongono di andare o tornare”.
La famiglia è un contenitore claustrofobico, regolato da leggi che non si possono infrangere. Ma più che le grida, il contrasto, nel film parlano i silenzi, i volti che esplicitano conflitti interpersonali mai risolti.
A esprimere rancori, indifferenza ma anche, a volte, grande empatia, sono i gesti, gli sguardi, i silenzi, le carezze furtive e occhi che diventano umidi e lucidi.Nessun pianto liberatore, nessuna rivelazione, ma la ripetizione di meccanismi familiari consolidati nel tempo.
Ognuno ai suoi posti di combattimento: una madre concentrata sul trucco e sul cibo, anaffettiva, ma anche un fratello ostile, interpretato da Vincent Cassel, che riesce a boicottare qualsiasi possibilità di comunicare.
Il personaggio piu interessante è la cognata del protagonista, interpretata dalla bravissima Marion Cotillard: i suoi occhi e i suoi gesti offrono a Louis, scrittore e malato terminale, una reale possibilità di ascolto.
Non sarà la vittima della sua famiglia: riparte senza aver potuto comunicare che sta per morire, ma, come l’uccellino dell’orologio a cucù, si anima, scardinando l’ ossessiva scansione di un tempo che non è solo esterno ma soprattutto interno.
Dolan prosegue nell’analisi spietata delle trappole familiari, addentrandosi nell’intreccio di sentimenti, rancori, ma soprattutto parole non dette. Ma nulla può cambiare veramente se si elide il registro verbale, affidando solo al linguaggio non verbale la comunicazione di emozioni profonde.
Una famiglia in cui non si parla, non si esplicitano i conflitti, è una famiglia disfunzionale, in cui non resta che la solitudine, la simbiosi e la prigione di ruoli imposti.
È solo la fine de mondo é una vera autopsia del sistema famiglia esaminato con la lente di ingrandimento della consapevolezza, che è una delle doti principali di Xavier Dolan, uomo, attore e regista.