OTTAVO POSTO – L’ultimo gara di campionato della stagione la Lazio l’aveva disputata con Simone Inzaghi sulla panchina, chiamato dalla società a sostituire l’esonerato Stefano Pioli. Nonostante le scelte di buon senso di Inzaghino, che aveva riportato sul campo calciatori più meritevoli come Keita e Onazi, la Lazio ha chiuso il campionato con un ottavo posto e tanti rimpianti per un cambio sulla panchina che poteva avvenire molto prima delle ultime sette giornate di campionato. Ma le colpe non erano certo tutte di Pioli, che errori tattici e di valutazione ne ha sicuramente commessi: il rapporto tra la squadra e la proprietà si era deteriorato e lo dimostravano chiaramente le prestazioni sul campo.
ANNUNCI – “Abbiamo le idee molto chiare su chi sarà il prossimo allenatore della Lazio” – aveva dichiarato il direttore sportivo Igli Tare in un’intervista prima dell’ultima di campionato – “entro una settimana lo annunceremo”. Da quel giorno sono trascorsi circa tre mesi, l’allenatore della Lazio è ancora Simone Inzaghi. In questo lasso di tempo le consultazioni societarie per la panchina hanno riguardato nell’ordine: Sampaoli, Prandelli (al quale era stata data la parola d’onore che sarebbe stato il nuovo allenatore), Ventura (poi nominato CT della Nazionale), Maran e, capolavoro finale, Marcelo Bielsa.
BIELSA – Uno tra i primi cinque allenatori del mondo (lui si relega per umiltà tra i primi 15). Guardiola, un suo allievo, dice che è il numero uno. Quando si è saputo che la Lazio aveva intrapreso le trattative per portare Bielsa al comando della panchina biancoceleste, la notizia è letteralmente deflagrata a livello planetario. Era dai tempi delle conquiste europee della Lazio di Cragnotti che la Lazio non finiva sui media internazionali. Dalla metà di giugno e fino alla prima settimana di luglio la letteratura sui dettagli dell’accordo tra Lotito e Bielsa ha riempito le pagine dei quotidiani sportivi, dei siti e delle tv. Con cadenza giornaliera, se non oraria, si sono susseguite numerose le notizie, spesso fantasiose, sugli obiettivi di mercato del DS Tare, che si stava muovendo secondo le direttive del nuovo allenatore. Una situazione mai vissuta in casa Lazio da dodici anni a questa parte: il presidente Lotito che investiva una somma mai stanziata prima su un tecnico (circa tre milioni di euro più altri settecentomila euro per lo staff, oltre a bonus e altre richieste più o meno singolari del mister argentino) e, particolare inedito in assoluto, disponibile ad accontentare ogni volere di Marcelo Bielsa. Una situazione ai confini della realtà, sulla quale molti esprimevano i propri legittimi dubbi: “non ci crederò fino a che non vedrò Bielsa sulla panchina della Lazio nella prima giornata di campionato”. Tra gli accordi del mister argentino con la società biancoceleste l’acquisto di sette calciatori e la cessione di ben diciotto elementi. Sembrava tutto fatto quando venerdì 8 luglio 2016 Bielsa invia una lettera in cui comunica che non sarà l’allenatore della Lazio. Adducendo motivazioni essenzialmente di ordine tecnico e temporale: dei sette calciatori concordati, almeno due avrebbero dovuto essere acquistati entro il 5 luglio. Ma il 9 luglio, quando la società indice una conferenza stampa nel quartier generale di Formello, nessun acquisto è stato ancora perfezionato. Né dei calciatori indicati da Bielsa, né dei calciatori concordati tra Bielsa e Tare in sostituzione degli obiettivi falliti.
TRIBUNALI – “Faremo causa a Bielsa per inadempienza contrattuale e danno d’immagine”, così in sintesi l’avvocato Gentile nella conferenza a Formello. Seguito dal lungo e dettagliato racconto del direttore sportivo Tare che spiega i motivi per cui gli acquisti non erano ancora o definitivamente stati perfezionati. Quando sta per prendere la parola il presidente Claudio Lotito, l’annuncio del direttore della comunicazione: “Il presidente non risponderà a nessuna domanda”. Detto fatto, dopo poche sillabe pronunciate da Lotito metà dei giornalisti in sala prendeva la via d’uscita ritenendo di essere impossibilitata a svolgere il proprio mestiere.
#BIELXIT – Causa o non causa, trattative saltate, da perfezionare o secondo qualcuno (tra cui Bielsa) letteralmente inventate, la rinuncia di Bielsa ad assumere le redini della panchina biancoceleste ha generato un contraccolpo che a distanza di una settimana ancora non si è placato. Una reazione a catena che ha coinvolto non solo la quasi totalità dei tifosi biancocelesti, non solo i media nazionali e internazionali, ma soprattutto lo spogliatoio della Lazio. Al ritiro di Auronzo di Cadore circa cinquecento le disdette dopo la notizia del mancato arrivo di Bielsa, e un ritiro in tono talmente sommesso da esser paragonato a quella di una squadra di serie B. Con diverse grane da risolvere all’interno dell’organico: oltre a Candreva in uscita (ufficialmente per sua volontà, ufficiosamente meno, ma non è chiaro), l’abbandono al veleno di Klose a fine campionato, arriva un duro comunicato di Keita che denuncia promesse non rispettate per il rinnovo del contratto e chiede in pratica la cessione o l’adeguamento del contratto in proporzione al valore con cui la società intende metterlo sul mercato. Nel frattempo non parte assieme ai compagni per Auronzo. Bielsa lo aveva considerato incedibile. La questione Felipe Anderson e il suo sogno di partecipare alle Olimpiadi è rientrata solo da poco, ma anche il brasiliano si è presentato solo il 14 luglio per le visite mediche. In più, si vocifera di nuove richieste di cessione da parte di altri calciatori, e ancora i big dello spogliatoio, i nazionali Marchetti e Parolo, non sono rientrati dalle meritate vacanze. Come se non bastasse, al 14 luglio 2016 nessun acquisto e nessuna cessione è stata ancora perfezionata. E chissà, continuando di questo passo, quando sarà allestita una squadra capace almeno di non peggiorare l’ottavo posto della scorsa stagione.
SANTI APOSTOLI – Nella stessa storica data della presa della Bastiglia, la tifoseria laziale si raduna numerosissima a Piazza Santi Apostoli, nel cuore di Roma e a due passi dalla Prefettura, per dire basta ai comportamenti dell’azionista di maggioranza della S.S. Lazio. La piazza, luogo deputato di tante manifestazioni di lavoratori in passato, contiene al massimo ventimila persone. La sera del 14 luglio la piazza è piena almeno per la sua metà: quindi, a spanne, circa diecimila i presenti, anche se il continuo andirivieni non ha certo favorito un facile conteggio. Ma almeno settemila, ottomila o diecimila, non i mille citati nell’edizione serale da alcuni telegiornali regionali e nazionali e da alcuni quotidiani sportivi online. Forse si sono confusi con i Mille di Garibaldi. La piazza era tutto uno sventolio di vessilli biancocelesti, di striscioni e cartelli più o meno goliardici nei confronti del presidente Lotito, un gioioso e chiassoso canto di cori e canzoni laziali. Nessun disordine, neanche sfiorato. Il comportamento della tifoseria ha dimostrato maturità e senso della civiltà. Le forze dell’ordine a presidio della piazza stazionavano tranquille, anche curiose, alcuni stupiti dall’affluenza nella piazza a metà luglio. A fine manifestazione, durata circa un paio d’ore, una rappresentanza del tifo biancoceleste è salita in Prefettura per chiedere la rimozione delle barriere nelle curve, causa principale dello sciopero del tifo organizzato nella Capitale.
FUTURO – Difficile immaginare gli effetti di una manifestazione nata spontaneamente sui social e poi perfezionata e organizzata con le autorizzazioni della Prefettura. Quel che è emerso è la protesta cantata, gridata ed espressa con ogni altro lecito mezzo nei confronti di Claudio Lotito dalla tifoseria biancoceleste. Stufa di comportamenti irrispettosi, stufa di promesse mai mantenute, stufa di una gestione ritenuta non all’altezza di quella che i tifosi orgogliosamente chiamano “la prima squadra della Capitale”, rivendicando i ventisette anni di anzianità in più rispetto alla Roma, e non solo. Una cosa è certa: non può essere una manifestazione, né come paventano alcuni l’intervento di un politico, a convincere il proprietario di oltre il 67% delle azioni della Lazio a cedere la società. Ma è sicuramente, considerate le presenze in piazza, il segno tangibile e concreto di un disamore generalizzato nei confronti di questa conduzione societaria: non più la contestazione di una “sparuta minoranza”, non più la contestazione della tifoseria organizzata, ma la più sincera e sentita protesta di ogni tifoso laziale che si sente umiliato fin nel profondo. Del resto la Lazialità non è un concetto che si può esprimere coerentemente a parole, così come non si può razionalizzare un sentimento o etichettare e codificare uno stile di vita, un modo di essere. Chi ha la Lazialità nel cuore può comprenderlo, chi non ce l’ha potrà sforzarsi e tentare interpretazioni, ma inutilmente. La Lazialità è una condizione esistenziale, o la si vive o non la si capisce. Questo il rimprovero più grande dei tifosi nei confronti dell’attuale azionista di maggioranza della S.S. Lazio: non aver mai capito cosa significa essere laziali.