Poche righe, laconiche, ne hanno annunciato il 10 gennaio 2016 la scomparsa sulla sua pagina Facebook: “David Bowie è morto oggi serenamente, circondato dalla sua famiglia dopo una coraggiosa battaglia di 18 mesi con il cancro. Sebbene molti di voi condivideranno questa perdita, vi chiediamo di rispettare la privacy della famiglia in questo momento di dolore”.
METAFISICA – La voce più originale nel rock’n’roll degli ultimi cinquant’anni se n’è andato come ha vissuto, regalando l’ultimo, splendido, venticinquesimo lavoro ★ (Blackstar è un titolo dedotto, perché sulla copertina appare soltanto una stella nera, senza alcuna scritta) nel giorno del suo 69esimo compleanno, due giorni prima di spegnersi. Un dono d’addio confezionato con quel tocco di genialità, di imprevedibilità, di mistero che ha sempre contraddistinto la sua musica. Con quel tocco metafisico che solo i sommi artisti di tutti i tempi sono riusciti a infondere nelle proprie opere, conquistando con pieno diritto l’immortalità. Aveva tenuto nascosta la propria malattia perfino a molti degli amici più stretti: “Si potrebbe dire che Bowie stesse ancora componendo sul suo letto di morte” – ha detto Ivo van Hove, il regista del suo ultimo impegno teatrale, il musical rock Lazarus, uno tra i primi cui Bowie aveva rivelato del suo tumore al fegato che gli avrebbe impedito di prendere parte a tutte le prove – “Ho visto un uomo che lottava. Ha lottato come un leone e ha continuato a lavorare sempre come un leone. Avevo un incredibile rispetto per questo”.
“Ha sempre fatto quel che voleva, voleva farlo a suo modo e voleva farlo nel migliore dei modi” – ha scritto il suo produttore Tony Visconti dopo la sua scomparsa – “La sua morte non è stata differente dalla sua vita – un’opera d’arte. Ha fatto ★ per noi. Il suo dono d’addio. Sapevo da un anno che sarebbe andata così. Ma non ero, comunque, preparato. Era un uomo straordinario, pieno d’amore e di vita. Rimarrà sempre con noi. Ora è giusto piangere”.
UNO, NESSUNO… – Nella sua lunga carriera Bowie (era nato l’8 gennaio 1947 in un sobborgo di Londra e il suo vero nome era David Robert Jones) ha vestito i panni di diversi personaggi: ha iniziato come astronauta folk-rock con Major Tom, poi è diventato l’androgino alieno rock Ziggy Stardust, quindi ha interpretato l’elegante Duca Bianco del funk, e poi ancora l’art-rocker della trilogia berlinese, passando ancora per tutti i generi – dalla new wave all’hard rock, dall’avanguardia alla dance, dal pop all’elettronica e al jazz – e tutti i costumi con quell’innata teatralità che lo ha reso un mito per folle di fan. Dal 1972 a oggi, Bowie ha avuto la raffinata capacità di reinventarsi e reinventare i generi musicali in cui si è espresso fondendo elementi provenienti da differenti forme d’arte. Ha scalato le classifiche internazionali con successi come “Fame”, “Golden Years”, “Let’s Dance”, “Space Oddity”, “Heroes”, “Changes”, “Under Pressure”, “China Girl”, “Modern Love”, “Rebel, Rebel”, “All the Young Dudes”, “Panic in Detroit”, “Fashion”, “Life on Mars”, “Suffragette City”, solo per ricordarne in ordine sparso alcuni tra i più noti. Con quegli occhi di colore differente (la pupilla sinistra era rimasta per sempre dilatata a seguito di una lite a scuola) e quel fisico asciutto e spigoloso, ha avuto la strada spianata anche come attore: storica la sua interpretazione nel surreale “L’Uomo che cadde sulla Terra” di Nicolas Roeg nel 1976, seguita da tante altre interpretazioni sia a teatro (“The Elephant Man”) che sul grande schermo (“Just a Gigolo”, “Furyo”, “L’ultima tentazione di Cristo”, “Labyrinth”).
ICONA – All’indomani della sua morte, tanti gli artisti che da ogni parte il mondo gli hanno reso omaggio, compresi molti di quelli che avevano lavorato con lui. Brian Eno, suo amico di lunga data e collaboratore per la trilogia berlinese di Heroes (cui prese parte anche Robert Fripp, la chitarra della canzone che dà titolo all’album), Low e Lodger – ha rivelato alla BBC di aver discusso recentemente con Bowie la rivisitazione dell’album Outside (1995) da lui prodotto: “La morte di David è arrivata totalmente di sorpresa, come quasi tutto quel che lo riguardava. Sento profondamente la sua mancanza, ora. Ci conoscevamo da 40 anni… Nell’ultimo periodo – con lui che viveva a New York e io a Londra – il nostro contatto avveniva tramite email. Ci firmavamo con nomi inventati: lui come Mister Showbiz, Milton Keynes, Rhoda Borrocks e il Duca dell’Orecchio. Circa un anno fa iniziammo a parlare di Outside, l’ultimo album al quale avevamo lavorato insieme. A entrambi piaceva molto e sentivamo che era caduto nel vuoto. Parlammo sul come rivisitarlo, facendone qualcosa di differente. Stavo aspettando di metterci al lavoro su questo. Una settimana fa ho ricevuto una sua email. Era divertente come sempre, e surreale, tra giochi di parole, allusioni e tutte le altre cose che facevamo. Terminava con la frase: «Grazie per i bei momenti insieme, Brian. Non si decomporranno mai». Ed era firmata «Dawn». Capisco ora che mi stava dicendo addio”.